Ormai non è certo una sorpresa che nel mondo del lavoro esistano delle discriminazioni di genere. Benché negli ultimi decenni siano stati introdotti nuovi meccanismi normativi per cercare di porre rimedio al fenomeno, il percorso risulta essere ancora in salita per le donne lavoratrici, tanto più se madri o con un progetto di maternità futura.
Tenete presente che questi fenomeni non sono certo localizzati solo nel nostro Bel Paese, ma come vedremo affliggono, con gradi diversi, buona parte del mondo. Segno che oltre agli interventi normativi serve davvero un cambiamento socioculturale diffuso.
Qui vorrei analizzare brevemente la situazione da una prospettiva più ampia.
Il rapporto del World Economic Forum
Secondo il rapporto stilato dal World Economic Forum (WEF) nel 2015 sulle disparità di genere, il lavoro fatto negli ultimi anni dagli stati per diminuire il divario tra uomo e donna è entrato in una fase di stallo.
Il rapporto WEF ha stilato una classifica sulla realizzazione di una efficace parità di genere analizzando, per ogni Stato, i diritti di uomo e donna, in quattro campi specifici: salute, educazione, capacità economica e partecipazione politica.
I primi posti appartengono ai Paesi Nordici: Islanda (1), Norvegia (2), Finlandia (3) che pur non avendo una piena parità di genere raggiungono il podio su 145 Paesi. L’Italia si piazza a quota 41, tra le Bahamas (40) e la Colombia (42).
La classifica completa la trovate qui.
Da notare come su 145 Paesi nel mondo solo quattro abbiano una maggioranza di donne attive nel mondo del lavoro, sono tutti stati africani: Ruanda (sesto in classifica sopra USA, UK, e Italia), Malawi, Mozambico e Burundi.
In questi Stati dopo il genocidio sono stati fatti grandi sforzi per portare molte più donne in politica, ottenendo così ottimi risultati: adesso il 64% dei loro Parlamentari sono donne. Anche sul piano lavorativo sono all’avanguardia rispetto alla percentuale di donne attive, che ad oggi supera l’occupazione maschile.
Nelle disparità di genere il rapporto WEF evidenzia come nell’ultimo decennio i maggiori progressi siano stati fatti nell’ambito dell’accesso all’educazione. Giungendo addirittura ad una inversione di tendenza nell’ambito dell’educazione superiore, dove emerge il dato significativo che in ben 98 paesi le donne neolaureate sono più numerose degli uomini. Questo dato, però, non trova ancora degno riscontro in ambito lavorativo, dove le donne, superate le discriminazioni in fase di accesso, si trovano spesso (e in buona parte del mondo) a dover affrontare situazioni come il “pay gap” e il “glass ceiling” (argomenti che affronteremo nei prossimi articoli); si evidenzia inoltre una tendenza al mobbing soprattutto ai danni delle donne.
Secondo i dati del WEF solamente tre stati nel mondo hanno più donne che uomini a ricoprire posizioni di comando, sono: le Filippine, le Fiji e la Colombia.
I dati suggeriscono anche che a livello globale le donne percepiscono economicamente quello che gli uomini percepivano 10 anni fa. Segno inequivocabile che molti sono i cambiamenti ancora necessari per ottenere una equa distribuzione di donne e uomini nel sistema paese di ogni stato nel mondo. E non solo, anche e soprattutto un equo trattamento e un’equa considerazione, che si basi sull’apporto che ognuno può fornire in base alle proprie competenze ed esperienze, senza guardare se si indossano la gonna o i pantaloni e tantomeno se si hanno figli o si progetta di averne.
Nei prossimi articoli vi presenterò in particolare due fenomeni caratterizzanti le discriminazioni di genere nel mondo del lavoro: il “pay gap” ossia la diversa retribuzione percepita da uomo e donna a parità di ruolo e mansioni; e il “glass ceiling” cioè lo sbarramento in salita che molto spesso le donne incontrano nel voler ricoprire cariche manageriali.
E.B.